Racchiusa tra Romania e Ucraina, la Moldova perfino sulla carta geografica assomiglia a un grappolo d’uva, con un territorio pressoché pianeggiante, interrotto da basse colline che rappresentano la parte sud-ovest della piattaforma sarmatica verso la quale degradano i Carpazi. Il clima, temperato dal Mar Nero poco distante, e la fertilità dei terreni (černozëm) ne fanno un’area ideale per l’agricoltura.

In Moldavia, grazie alla citata varietà di microclimi e di terroir, si produce un’ampia tipologia di vini fin dai tempi dell’Unione Sovietica, quando il paese, essendo una delle due principali zone di produzione, doveva contribuire a soddisfare le esigenze di milioni di consumatori.

In quel periodo la produzione del vino era divisa in due fasi: in alcune cantine si portava l’uva e si ammostava, dopodiché il mosto veniva trasferito in un altro stabilimento, dove diventava vino e veniva affinato.

Proprio Mileştii Mici, un’ex miniera di pietra calcarea, con una superficie sotterranea immensa e una temperatura costante (12-14 °C), era una spettacolare cantina naturale e divenne una di quelle che svolgevano la seconda fase della produzione: ecco perché conserva ancora oggi i vini più rari dell’epoca. Vini che dicono molto sui gusti e sui consumi del quarantennio seguìto all’ultimo dopoguerra in URSS.

Ad esempio, per celebrare il capodanno ortodosso, in ogni famiglia sovietica si brindava con una leggendaria bottiglia verde, etichettata Советское Шампанское (Sovjetskoje Shampanskoje, cioè champagne sovietico), un vino frizzante di basso prezzo prodotto con Metodo Charmat per consumi di massa.

All’epoca non contava la provenienza del vino o il metodo di preparazione e qualsiasi vino spumante, in russo, si chiamava Shampanskoje (champagne). Ovviamente, il termine era consentito con dei limiti: doveva essere scritto solo nella grafia in cirillico e solo per bottiglie destinate al mercato interno. All’estero, gli stessi vini si vestivano con l’etichetta Советское игристое (Sovietskoje Igristoje, cioè spumante sovietico).

I requisiti per la produzione del Metodo Classico erano invece molto severi e non tutte le aziende erano in grado di produrli. In Moldavia questo ruolo era svolto dall’azienda Cricova, anch’essa famosa per le sue estesissime cantine sotterranee e che continua ad essere la numero 1 per le bollicine (sia Metodo Classico che Martinotti che vini frizzanti). I vini spumanti si producevano utilizzando i classici vitigni francesi (Chardonnay, Pinot Noir, Meunier) e i Moscati, molto richiesti nella versione dolce.

Oggi questi vini non sono più di moda, anche se è sopravvissuto un vino dolce, il Cahor, il cui nome deriva da uno dei primi vini distribuiti in Russia, proveniente dalla città francese di Cahors.

Il Cahor moldavo è a base di Cabernet Sauvignon e deve la sua lunga vita alle pratiche religiose. Nel rito della comunione, la chiesa ortodossa – che utilizza anche il vino, simbolo del sangue di Cristo e quindi necessariamente rosso – aveva bisogno di un prodotto di qualità e di lunga conservazione.

Il clima freddo della Moldavia e le elementari tecniche di viticoltura di allora non permettevano alle viti di arrivare a piena maturazione fenolica, perciò era difficile produrre vini duraturi. Si scelse così di fare un vino dolce, bloccandone la fermentazione con l’aggiunta di alcol. La storia del Cahor moldavo finisce nel 2013, quando lo storico accordo tra Moldavia e Unione Europea ha imposto l’abbandono di questo nome (per salvaguardare quello del Cahors originale francese), che a partire dal 2018, dopo tre secoli di storia, ha cambiato il suo nome in Pastoral. L’accordo con la UE ha fatto seguito alle restrizioni imposte ai vini moldavi dai dazi della Russia, che era il principale importatore. 

In Moldavia si utilizzano soprattutto vitigni francesi (73%), oltre ai caucasici (17%) e alcuni autoctoni (10%), comuni con la Romania. Le varietà indigene meritano attenzione, perché il governo moldavo non contribuisce allo studio della diversità genetica e alcune rischiano l’estinzione. I più impiantati sono quelli del gruppo Fetească (Fetească Alba, Fetească Neagră e Fetească Regală), oltre a Rara Neagră e Viorica.

Ci sono anche alcuni autoctoni “dimenticati”, recuperati da alcuni viticoltori, come i bianchi Alb de Oniţcani di Novak Winery e Riton di Gogu Winery e il rosso Kodrinsky di Atu Winery. I vitigni francesi più coltivati sono Cabernet Sauvignon, Aligoté, Merlot, Sauvignon Blanc e Chardonnay, mentre tra i caucasici si segnalano Saperavi (uva rossa tintoria) e Rkaţiteli (uva bianca, adatta anche per vini macerati).

Sono tre le regioni vinicole storiche della Moldavia:

  1. Valul lui Traian (sud ovest), dove si producono soprattutto vini rossi e dolci.
  2. Stefan Voda (sud est), dove si trova il centro di vinificazione di Purcari, reso famoso dai suoi vini Roşu de Purcari e Negru de Purcari, le condizioni climatiche sono favorevoli alla coltivazione dei vitigni a bacca nera, come Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Malbec e Rara Neagră, che servono come base per la produzione di vini invecchiati.
  3. Codru (centro), dove si trova la maggior parte dei vigneti moldavi (60%). E’ la zona migliore per la produzione di Fetească Regală, Fetească Albă, Riesling Italico, Sauvignon, Traminer e Cabernet. Qui si trova la famosa cantina di Milestii Mici, la più grande al mondo, con una collezione di 1,5 milioni di bottiglie, e che vanta oltre 200 chilometri di tunnel scavati nella roccia calcarea, simili agli  scavi romani nella Champagne.