Cento anni fa, l’Ungheria era uno dei più importanti produttori di vino in Europa, sia che si trattasse del famoso vino dolce di Tokaji, che degli altri vini bianchi e rossi ungheresi, all’epoca lodati e goduti in tutta Europa.

Oggi però non è più così, e i vini Ungheresi sono poco noti e diffusi, con la sola eccezione del Tokaji Aszú, la cui produzione rappresenta però appena il 4% di quella totale del paese, nel quale si producono anche vini secchi, in prevalenza bianchi, sia con uve autoctone che internazionali.

La ragione di ciò è nella travagliata storia vitivinicola di questo piccolo paese, iniziata con l’assalto della fillossera nel 1880 e proseguita con due guerre mondiali e quaranta anni di collettivizzazione comunista.

Le prime testimonianze della coltivazione dell’uva e della produzione di vino in Ungheria risalgono all’Impero Romano. Le tribù Magiare arrivarono in queste terre alla fine del IX secolo e con esse il vino e la coltura della vite continuarono a svilupparsi.

Dopo le invasioni dei Mongoli nel XII secolo, iniziò la ricostruzione dei vigneti.

Solo nel XVII secolo il Tokaji Aszú conquistò la fama e il prestigio che conosce ai nostri giorni. Alla fine del 1600 fu individuata la cosiddetta “muffa nobile” (Botrytis Cinerea) e i suoi effetti sulla produzione di vino e pertanto furono elaborate norme specifiche per la produzione del Tokaji Aszú.

All’arrivo della fillossera seguì un arresto produttivo e fu solo alla fine dell’800 che si iniziarono a piantare nuove viti resistenti alla fillossera e la produzione vinicola riprese il suo sviluppo.

Con l’avvento del monopolio di stato comunista, nel 1947, la produzione e il commercio del vino, di bassissima qualità, era sotto il controllo dello stato e veniva per la maggior parte esportato in Unione Sovietica.

Dopo il termine della guerra fredda le imprese vinicole ripresero a produrre vino di qualità, introducendo nuove e moderne tecnologie enologiche.

Il sistema di qualità del vino in Ungheria è definito da leggi emanate nel 1990, che si basano principalmente sulle direttive emanate dall’Unione Europea, con l’istituzione di Denominazioni di Origine e Indicazioni Geografiche (DOP e IGP).

Le leggi Ungheresi (disciplinari) definiscono le regioni vinicole e i loro confini, le varietà di uve permesse, le tecniche e procedure di coltivazione e vinificazione oltre alle indicazioni obbligatorie da riportare in etichetta.

In Ungheria si coltivano sia uve autoctone che internazionali.

Fra le uve a bacca bianca ricordiamo il Furmint, Hárslevelü, Kéknyelü, Muscat Lunel (Muscat à petit grains), Olaszrizling (Riesling Italico), Orémus, Szürkebarát (Pinot Grigio) e Tramini (Gewürztraminer).

Fra le uve a bacca rossa il Kadarka, Kékfrankos (nome con cui è noto il Franconia), Kékoporto e lo Zweigelt.

Fra le uve internazionali a bacca bianca più diffuse nel paese abbiamo lo Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon e Sémillon.

Tra le uve a bacca nera, il Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Pinot Nero.

Le regioni vinicole dell’Ungheria sono attualmente 22, delle quali solamente otto sono considerate importanti, sia dal punto di vista storico che qualitativo.

La più prestigiosa e famosa di queste è la regione di Tokaj-Hegyalja, nella zona nord-est del paese, ai confini con la Slovacchia, dalla quale proviene il celebre Tokaji Aszú.

Le altre sette regioni includono, a nord del paese, Eger e le Colline di Mátra, ad ovest, nei pressi del lago Balaton, Somló e Badacsony, e a sud, Alföld (grande pianura), Szekszárd e Villány-Siklós.